Cuneo e provincia

3. Produzione industriale: fabbrica e conflitti

Piazza Galimberti, Cuneo.
Foto di Alessandro VecchiOwn work, CC BY-SA 3.0, Link

Produzione industriale: fabbrica e conflitti

Superata la fase inziale dell’occupazione, a gennaio 1944, i tedeschi iniziarono a razionalizzare la produzione industriale della provincia, una parte della quale risentiva della ridotta disponibilità di materie prime: alcuni cotonifici (Cardolle e Michel, Wild e Olcese) erano stati costretti ad annullare gli ordini o a rivendere il prodotto agli occupanti a prezzi di favore. Per un altro settore, quello cartario, l’amministrazione germanica, considerando eccessivo il numero di stabilimenti attivi in provincia, avviò una sorta di riorganizzazione chiedendo ad alcuni stabilimenti di cessare la produzione. Non mancarono le proteste come accadde per la cartiera di Ormea, che cercò di dimostrare l’indispensabilità del proprio contributo alla produzione bellica. A volte le proteste ebbero successo perché, come ampiamente dimostrato dalla ricerca storiografia, l’amministrazione d’occupazione germanica era tutt’altro che un monolite: non solo perché al suo interno si manifestavano tendenze diverse, ad esempio tra militari e politici, ma anche per gli orientamenti dei singoli referenti dotati di potere decisionale.

D’altra parte la decisione di passare da una politica di rapina e spogliazione delle risorse italiane, come era avvenuto nelle prime fasi dell’occupazione, ad una politica che cercava di integrare la produzione italiana nella macchina produttiva del terzo Reich, rispondeva ad una scelta politica generale. Non per generosità o amicizia per Mussolini che era stato rimesso a capo della Repubblica Sociale, ma per un calcolo utilitaristico in quanto un paese devastato e depredato non avrebbe più potuto offrire nulla allo sforzo bellico tedesco. Si seguirono perciò due vie. Alcune aziende sarebbero state poste direttamente agli ordini del RuK, il Ministero degli armamenti e della produzione bellica tedesca e considerate “aziende protette”, cioè sostenute nelle loro attività produttive con la fornitura di materie prime e con contratti relativamente vantaggiosi. Le rimanenti imprese avrebbero potuto stipulare contratti con operatori tedeschi o italiani sempreché avessero sufficienti disponibilità proprie di materie prime ed energia. Ovviamente per le “aziende protette” era molto più agevole accedere ai rifornimenti e quindi proseguire la produzione mentre le “non protette” non riuscivano a sostenere lo sforzo economico finanziario come avvenne per le Ceramiche Besio di Mondovì costrette e a licenziare le maestranze. I tedeschi, nel dare la precedenza alle aziende produttrici di materiale bellico, favorirono il decentramento di quelle aziende che minacciate dai bombardamenti o comunque a rischio per lo spostarsi del fronte di guerra nella tarda primavera del 1944. Ad esempio, il Silurificio San Giorgio, che venne collocato a Beinette non lontano da Cuneo. Altri interventi comportarono l’assegnazione della produzione di sistemi d’arma tedeschi a “cordate” di ditte italiane come nel caso della SNOS di Savigliano e dell’Aeritalia di Alba, città in cui trovò sistemazione anche uno stabilimento della Piaggio di Pontedera, facendo così della “Provincia Granda” un’area di primo rilievo per le scelte di decentramento produttivo. In relazione all’attività delle aziende “protette” i tedeschi non tolleravano interferenze neppure da parte degli esponenti della RSI che dovettero astenersi da qualunque intromissione, anche sul piano delle politiche sindacali e sociali, nonostante la politica di “socializzazione” ampiamente propagandata da Salò.

Valle Varaita, aprile 1945, impianti idroelettrici..

Pieghevole fascista di propaganda..

Foto e documenti sono conservati presso l’archivio dell’Istituto storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Cuneo.

Altro su Cuneo